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Vino di Chianti Classico DOCG

Quella del Chianti Classico è la vera regione tradizionale del Chianti, istituita come zona a vocazione vitivinicola sin dal 1716 dal granduca Cosimo III e collocata lungo le valli tra Firenze e Siena, rappresentata dal simbolo storico del Gallo Nero. In questa regione, dove non è consentito produrre il Chianti DOCG, i produttori hanno mirato alla realizzazione di un vino al tempo stesso più elegante e strutturato, capace talvolta di lambire l'opulenza dei più grandi sangiovese della regione.

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Chianti Classico DOCG

Quella del Chianti Classico è la vera regione tradizionale del Chianti, istituita come zona a vocazione vitivinicola sin dal 1716 dal granduca Cosimo III e collocata lungo le valli tra Firenze e Siena, rappresentata dal simbolo storico del Gallo Nero. In questa regione, dove non è consentito produrre il Chianti DOCG, i produttori hanno mirato alla realizzazione di un vino al tempo stesso più elegante e strutturato, capace talvolta di lambire l'opulenza dei più grandi sangiovese della regione.

Infatti il sangiovese, nella misura minima dell'80% ma sempre più spesso in purezza, rappresenta il nerbo decisivo di questa denominazione, il vero elemento unificante di terroir molto vari per clima e suoli come Castelnuovo Berardenga, Castellina, Radda, Gaiole, Greve. All’interno dei quasi 72000 ettari vitati, i comuni di Castellina, Gaiole e Radda, in provincia di Siena, sono considerati il nucleo originario del Chianti Classico Gallo Nero.

Perché il Gallo Nero simboleggia il Chianti Classico? Si tratta di una storica e curiosa leggenda, che la dice lunga su quanto questo territorio sia sempre stato considerato prezioso da tutti i toscani. Storicamente al centro delle contese tra Firenze e Siena, che nel Medioevo si combattevano il dominio su tutta la regione, si narra che il Chianti Classico fu attribuito alla città del giglio dopo un singolare arbitrato. I due municipi decisero infatti che il confine tra i rispettivi stati sarebbe stato stabilito nel punto in cui due cavalieri, uno senese e uno fiorentino, partiti al canto del gallo dalle rispettive città, si fossero incontrati.

Mentre i senesi rimpinzarono il loro gallo bianco il giorno prima, convinti che ciò lo avrebbe fatto dormir male e quindi cantar prima, i fiorentini scelsero un gallo nero e lo tennero a stecchetto. Il gallo fiorentino, morso dalla fame, il giorno dopo cantò quindi molto prima di quello senese, che era ancora satollo dalla sera prima. Così il cavaliere fiorentino poté partire ben prima del concorrente, arrivando a soli 12 km da Siena e aggiudicandosi in questo modo gran parte del territorio che oggi chiamiamo Chianti Classico.

Già nel XIII secolo è quindi attestata l’identificazione del Chianti come entità geografica, allorché Firenze, per amministrare i municipi di questa zona entrati a far parte dello stato, costituì la Lega del Chianti, che si occupava anche della gestione del prodotto vitivinicolo dell’area. Il nome “Chianti” con riferimento al vino compare per la prima volta sin dal 1398. Non deve dunque stupire se già nel 1716 il granduca di Toscana Cosimo III de’ Medici individuò nel Chianti Classico una delle quattro più nobili zone del vino regionale, istituendo una sorta di denominazione d’origine ante litteram nel suo celebre bando Sopra la Dichiarazione de’ Confini delle quattro Regioni Chianti, Pomino, Carmignano, e Val d’Arno di Sopra.

All’epoca si era soliti vinificare il Chianti Classico con sole uve sangiovese. Solo nell’Ottocento si istituì diffusamente la pratica di realizzare questo vino con un assemblaggio di uve comprimarie rosse come il canaiolo e il colorino – atte a conferire al sangiovese giovane più rotondità, colore e immediatezza aromatica – e anche bianche, come il trebbiano e la malvasia toscana.

Il barone Bettino Ricasoli, intorno al 1840, stabilì la composizione da lui ritenuta più idonea per ottenere un vino rosso piacevole, frizzante e di pronta beva, che sarebbe poi diventata la base della composizione ufficiale del vino Chianti al momento delle sue prime legislazioni successive all’unità d’Italia: sangiovese al 70%, canaiolo e malvasia al 15% rispettivamente. Non solo: Ricasoli prescriveva anche il ricorso al “governo all’uso toscano”, cioè una sorta di “ripasso” di vino appena vinificato su mosti prodotti da uve sottoposte ad appassimento, quindi ancora fermentescibili. Così imbottigliato, il Chianti che si otteneva era un vino vivace, vinoso, fruttato, di beva molto immediata: un’interpretazione che oggi non si attaglia certo all’austerità, alla grandiosità e alla longevità che certi sangiovese di Chianti sanno regalare, tanto che l’attuale disciplinare della DOCG non consente di imbottigliare Chianti Classico né con uve bianche, né con il governo all’uso toscano.

Il clima, l'orografia e la morfologia dei terreni disegnano un paesaggio ordinato e iconico, tipicamente toscano, dove ogni viticoltore ha la responsabilità di un’architettura complessiva armonica e suggestiva. Tutto concorre a un ambiente luminoso e solare, ideale per la corretta maturazione delle uve. Le temperature estive, elevate soprattutto nei mesi di luglio e agosto, l'ottima insolazione che permane nei mesi di settembre e ottobre, le escursioni termiche tra notte e giorno piuttosto elevate, regalano alle uve non solo un’ottima maturità, ma anche un perfetto bilanciamento organolettico e aromatico, un ottimo equilibrio tra acidità (elemento caratterizzante del sangiovese) e struttura.

Il territorio del Chianti Classico ha una forma grossomodo rettangolare, tra i monti del Chianti a est, il fiume Greve a nord, il corso dell’Elsa e del Pesa a ovest e, a sud, le sorgenti dei fiumi Ombrone e Arbia. Si tratta di un ampio complesso collinare che oscilla mediamente tra i 200 e i 600 metri sul livello del mare, talvolta più dolce, talvolta con pendenze consistenti. Dal punto di vista geologico, il territorio è caratterizzato da scisti argillosi (galestri) con inserimenti di argille scagliose alternate ad alberese e arenarie calcaree fini. Un suolo povero e cromaticamente tipico, che conferisce ai vini struttura elegante e grande tensione acida-minerale, quindi austerità e longevità.

In seguito alla smisurata crescita della domanda di Chianti che si registrò tra Otto e Novecento, si cominciò a produrre vino “all’uso del Chianti” un po’ in tutta la Toscana. Vini che, nel giro di pochi anni, venivano persino imbottigliati come “Chianti” tout court, in assenza di una tutela specifica del territorio storico. Tra il 1924 e il 1932, grazie all’azione di un consorzio di produttori attivi nel Chianti “storico”, si arrivò a ridefinire questo territorio come Chianti Classico, anche se si scelse, come tuttora avviene, di non impedire al prodotto realizzato negli areali circostanti di essere immesso sul mercato come “Chianti” – questo ampio comprensorio è oggi tutelato, a sua volta, dalla DOCG Chianti, con le relative sottozone.

Più strutturato, ampio, complesso, tannico ma anche più morbido e carezzevole del Chianti, il Chianti Classico subisce in cantina un affinamento minimo di un anno, condotto sempre più spesso e sempre più a lungo in legno, e soprattutto vanta una delimitazione delle rese in vigna a 7,5 t/ha, valore che ne certifica l'orientamento qualitativo. Confetturato, speziato, ormai sovente tostato e persino etereo, il Chianti Classico è tipicamente fresco e sapido in bocca, con una persistenza amarognola, al punto tale da richiedere almeno un lustro prima di raggiungere la piena maturità. Di straordinario potenziale, se ne distinguono le tipologie Chianti Classico Riserva, con minimo due anni di affinamento in cantina, e Gran Selezione, con un'evoluzione non inferiore ai trenta mesi e una selezione particolarmente accurata delle uve.

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