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Che cosa significa "terroir"?

Il termine terroir è la combinazione di tre fattori chiave nella produzione di vini di qualità: suolo, clima e uomo. Poi c'è il vitigno, che "collabora" con tutti e tre e conferisce al vino ulteriore personalità. Scopriamo questi fattori e proviamo a definire il terroir (ardua impresa) gettando uno sguardo sulla situazione italiana.

Il suolo

La composizione del suolo, cioè della terra in cui le viti mettono radici, è il primo elemento che definisce un terroir. Il legame tra il suolo e le caratteristiche sensoriali del vino è ancora tutto da scoprire: la scienza sta in questi anni portando alla luce i primi risultati che sembrano dimostrare una correlazione diretta o quasi.

Il legame suolo-vino resta infatti ancora in parte da dimostrare, ed è affidato alla sensibilità dell'esperto e del degustatore. Sappiamo, per esempio, che i vini da suoli calcareo-argillosi o marnosi (le Langhe, ad esempio) tendono ad essere più intensi e corposi di quelli provenienti da terreni sabbiosi o comunque più "sciolti", cioè meno sodi e compatti (come la costiera adriatica romagnola).

Tipico terreno calcareo-marnoso delle Langhe e del Barolo, in questo caso nel comune di La Morra. L'areale del Barolo DOCG comprende suoli molto compatti verso Serralunga (quindi un nebbiolo austero, tannico e nervoso) e sempre più sciolti da Barolo e Castiglione Falletto fino a La Morra (quindi un nebbiolo più pronto ed armonico anche in gioventù). © Enzo Boglietti

Questi suoli, che possono essere sabbiosi, ghiaiosi, alluvionali, ad impasto misto, sono perfetti per far risaltare gli aromi di ogni uva con la massima chiarezza. Ottimi per basi spumante charmat o per bianchi da aperitivo. Quelli più compatti, siano essi marnosi, basaltici, vulcanici come il Soave, l'Etna, il Gattinara, rocciosi, si prestano a dar vini dediti all'evoluzione, rossi, ma anche bianchi.

La ricchezza di materia organica disponibile nel suolo è un altro elemento determinante che influenza direttamente la concentrazione del vino; così, i suoli poveri tendono a produrre vini di maggiore intensità, mentre quelli provenienti da terreni molto ricchi di sostanze organiche (come i suoli alluvionali del Piave) tendono ad essere un po' più fluidi.

Antichissimi ceppi in contrada Feudo di Mezzo, sulle terre nere vulcaniche dell'Etna. Si tratta di vigne piantate sopra antiche colate laviche, su suoli che conferiscono ai vini grande mineralità e sapidità. Conta anche il clima e l'esposizione: è infatti quello settentrionale il versante del vulcano più performante per i rossi. Poiché suoli e altitudini sono estremi, s'incontrano spesso ceppi secolari a piede franco, immuni dalla fillossera. © Tenuta delle Terre Nere

Inoltre, i suoli più compatti sollecitano le radici a scavare a fondo per trovare sostanze nutrienti: e più la pianta sviluppa la radice, meno avrà energie da disperdere in foglie e frutti. Frutti che, ancora una volta, matureranno con maggiore concentrazione di zuccheri, antociani e altre sostanze.

Le rese aumentano anche secondo la ricchezza del suolo e più grappoli ha una vite, più bassa sarà la concentrazione dei frutti e quindi la struttura dei vini. Le viti vecchie danno meno frutto, e quindi più concentrato: per questo i vini da ceppi particolarmente antichi possiedono un pregio particolare. È il motivo per cui la menzione "vecchie vigne" (e simili) è normata dalla legge ed è segno di particolare pregio dell'etichetta.

Odilio e Mattia Antoniotti sui suoli vulcanici a base di porfido nel Bramaterra. Il profido è un particolare sedimento tipico dell'alto Piemonte: qui, un antichissimo vulcano è imploso su se stesso e i suoi residui si sono concentrati in questi suoli compatti ma friabili che sfidano la tenuta delle viti. Oggi gli ettari vitati in alto Piemonte sono circa il 10% di quelli di un secolo fa, in quanto si deve praticare una viticoltura eroica in mezzo ai boschi, combattendo durezza dei suoli, pendenze e animali selvatici. © Odilio Antoniotti

La tessitura, cioè la dimensione delle particelle del suolo, influisce direttamente sulla sua capacità di ritenzione idrica. In base a questo, i suoli sono di solito divisi in argilla (<0,002 mm), limo (0,002-0,05 mm) e sabbia (0,05-2 mm), con i suoli argillosi che sono più compatti e trattengono meglio l'acqua piovana, e i suoli sabbiosi quelli che hanno più difficoltà a conservare le riserve d'acqua. Soprattutto dove il clima è estremo, la vite gradisce suoli che conservino bene l'acqua nei periodi di secca. Non solo: il suolo svolge anche una funzione termica. Suoli molto chiari, come l'albariza nella regione dello sherry, trattengono i raggi solari e il loro calore, distribuendolo alle piante anche durante la sera e la notte. Questo ovviamente comporta una più piena maturazione delle uve.

Terreno sabbioso caratteristico della Romagna adriatica, nella zona del Bosco Eliceo. È questa, vicino al Delta del Po, l'unica zona d'Italia in cui si producono veri e propri vin de sable. Il vitigno tipico è la fortana, un rosso leggero e beverino, poco alcolico, solitamente vinificato frizzante. Ottimo in abbinamento con i piatti grassi del territorio: l'anguilla e la salama da sugo, un insaccato tipico del ferrarese. © Mariotti Vini delle Sabbie

C'è poi da considerare la composizione intrinseca del suolo. Le diverse componenti rendono un terreno più o meno adatto a un determinato vitigno. Alcuni casi tipici sono i suoli ferruginosi, spesso rossastri (il Valferana a Gattinara), che come quelli vulcanici, ricchi di porfido e basalti multicolori (Campi Flegrei), danno grande mineralità, sapidità, tannino graffiante e longevità ai vini. Lo stesso si può dire dei suoli ricchi di scheletro, che un tempo erano fondali marini, o dei suoli morenici vicino ai grandi laghi, come in Franciacorta. Per non parlare dei suoli calcarei, come la Champagne, e di quelli scistosi come la Mosella. Spesso, a dire il vero, un terroir è caratterizzato da suoli e tessiture miste: è il caso di Bolgheri, che beneficia di un suolo eterogeneo con notevoli differenze anche a distanza di poche centinaia di metri.

Il tufo, di origine vulcanica, dà molti grandi bianchi del centro Italia, come l'Orvieto. Si tratta di un terreno abbastanza compatto ma anche friabile, estremamente ricco di sostanze minerali. Il tufo regala grandissimi bianchi come il Bianco di Pitigliano, in parte la Vernaccia di San Gimignano, l'Orvieto appunto, tutti i bianchi vulcanici dell'alto Lazio (zona del Lago di Bolsena e di Montefiascone), fino a quelli campani come il Greco di Tufo, che in qualche modo ne prende il nome. © Consorzio Vino Orvieto

Suoli calcarei o in generale ricchi di scheletro e sostanze minerali sono ottimi per conferire note di idrocarburo e pietra focaia ai vini: in Italia, basta pensare alla ponca del Collio goriziano. Più sciolte e pianeggianti, le grave del Friuli ricordano un po' le graves del Médoc e regalano bianchi più aromatici che minerali. Altri suoli tipicamente eccellenti per bianchi di struttura e grande spalla acida sono i tufi, come a Orvieto o, ovviamente, in Irpinia dove si fa il Greco di Tufo. Acidità e sapidità, sia ai bianchi sia ai rossi, sono in generale conferite dai numerosissimi terreni che anticamente erano ricoperti da mari e oceani. Zone in cui è frequente trovare in vigna fossili di conchiglie e altre creature acquatiche.

La ponca è uno dei suoli italiani più caratteristici. Si trova nel Collio ed è un sedimento di argille e calcari di origine marina. Dà vita ai più grandi vini bianchi friulani, come il friulano de I Clivi. La ponca conferisce ai bianchi mineralità, sapidità, acidità e anche una certa struttura, quindi longevità. Ne beneficia anche il Collio sloveno, chiamato Brda, e tutta la zona italiana più famosa per i vini orange a base di ribolla gialla. "Ponca" si può considerare sinonimo di "flysch". © I Clivi

Clima

Il secondo fattore determinante per ogni vigneto è il clima. In che modo il clima influenza un vino? Quali tipi di clima esistono? In che modo la latitudine, l'altitudine o l'orientamento del vigneto influenzano il vino risultante? Andiamo passo dopo passo. Cominciamo a distinguere il clima dal microclima.

Il clima è l'insieme di tutte le condizioni atmosferiche (temperatura, precipitazioni, umidità, venti, sole, ecc.) tipiche di una regione; un microclima, invece, è un insieme di particolarità atmosferiche che interessano un'area ridotta di territorio, conferendogli caratteristiche diverse da quelle della sua zona.

In Italia, possiamo individuare un'infinità di microclimi, così come del resto un'infinità di tessiture del suolo anche in vigneti a minima distanza tra loro. È sufficiente pensare al Barolo: percorrendo a piedi poche centinaia di metri si passa da cru a impasto molto compatto, come verso Serralunga, a cru di medio impasto, più sciolti, come nella parte occidentale della DOCG: ne risulterà un nebbiolo austero e teso nel primo caso, più avvolgente e scattante nel secondo.

A Morgex, in Valle d'Aosta, le vigne arrivano ai 1200 metri e d'inverno sono coperte di neve. Da queste parti, si usa insediare i filari su terrazzamenti, ma i ceppi vengono tenuti abbastanza bassi e sono sorretti da colonne di pietra bianca. Queste colonne svolgono anche un'importante funzione termica, e sono tipiche di tutta la Vallée. Quello di Morgex è considerato il vigneto non sperimentale più alto d'Europa ed è uno dei pochi comprensori d'Italia in cui si riescono a produrre eccelsi spumanti metodo classico da uve autoctone, nonché icewine. © Ermes Pavese

Il clima è un fattore determinante in generale, ma condiziona anche ogni singola annata, specialmente in un'epoca, come questa, in cui si assiste a notevoli cambiamenti climatici. Ad ogni modo, in generale, la vite gradisce:

  • temperature non estreme: per questo la vite prospera - parlando del Vecchio Mondo - grossomodo da Pantelleria/Jerez a sud fino alla Mosella/Alsazia/Champagne a nord, con tipologie di vino ovviamente oscillanti dal passito/liquoroso allo spumante metodo classico
  • ottime escursioni termiche sia giornaliere sia stagionali: questo conferisce ai vini ricchezza aromatica ed eleganza a livello di struttura
  • un'altitudine, che, dal livello del mare, non superi i 600-700 metri, anche se prosperano varietà, come in Valle d'Aosta o sull'Etna, fino e oltre i 1000 metri
Le colline della Val d'Orcia sono un terroir ideale per la viticoltura di qualità. Patrimonio dell'Umanità, la Val d'Orcia abbraccia tutte le migliori denominazioni del vino rosso toscano. Tra tutti spicca il Brunello di Montalcino, che è l'espressione suprema del sangiovese. Un rosso sottile, elegante, intenso, acido e tannico da lunghissima evoluzione che nasce da suoli calcareo-argillosi e da filari allevati in alta collina. © Consorzio Brunello di Montalcino

Ovviamente, stagioni con picchi di caldo, grandinate e sbalzi termici, ormai frequenti, non solo limitano le rese, ma danno anche uve qualitativamente meno interessanti. Perché? Perché troppa pioggia favorisce i marciumi o la diluizione delle sostanze aromatiche dell'acino. Troppo caldo arido, invece, uccide gli acini o li surmatura sfasando l'equilibrio aromatico e favorendo fermentazioni indesiderate.

Naturalmente, in linee molto generali, più il clima è freddo, più i vini saranno acidi, tesi e minerali; più il clima è caldo, più le uve matureranno, e quindi si otterranno vini sontuosi, opulenti e rotondi. Tra tutti i paesi del mondo, l'Italia vanta una varietà di climi e microclimi particolare: alpino, continentale, collinare, mediterraneo... In tutti, ormai, si sperimenta con successo la viticoltura.

In Costiera Amalfitana si pratica una viticoltura eroica in un tipico clima mediterraneo. Tra Furore, Ravello e Tramonti si sviluppa una viticoltura per certi versi simile a quella delle Cinque Terre. Le vigne, a strapiombo sul mare, si vendemmiano con l'aiuto di funicolari e monorotaie. Il relativo isolamento della zona ha favorito la preservazione di antichi vitigni autoctoni come ripoli, fenile, ginestra, tintore. Il clima e la posizione regalano bianchi pieni, maturi, rotondi ma di grande classe e longevità. © Marisa Cuomo

Tendenzialmente, quindi, ogni clima ha anche un po' il suo vino. In montagna, sarà più facile trovare bianchi verticali o rossi leggeri ed eleganti. È il caso del pinot nero in Alto Adige o del nebbiolo in Valtellina. Dove domina il clima mediterraneo, prevalgono rossi di buona struttura o bianchi rotondi e piacevoli come inzolia e vermentino. Di più: lo stesso vitigno si esprime diversamente a diverse altitudini, anche se la latitudine è sostanzialmente la stessa. C'è il verdicchio di Jesi, solare e mediterraneo, e il verdicchio di Matelica, teso e di collina; c'è il primitivo di Manduria, opulento e rotondo, e il primitivo di Gioia del Colle, più fresco e minerale.

In alta collina, come in Irpinia o nel Chianti Classico, dove regna sua maestà il sangiovese, e quindi anche a Montalcino, ecco invece rossi di grande classe, in equilibrio tra finezza e potenza, e bianchi austeri, minerali e longevi come il Fiano di Avellino. In Italia si fa poco vino nel clima continentale: in genere, lo si fa dove c'è l'influsso "mediterraneo" di un lago, o dove comunque ci sono colline che esaltano la ventilazione e le esposizioni, come in Franciacorta o in Valpolicella.

Il Lago di Garda influenza il clima delle zone circostanti, come la Valtènesi, rendendolo più mite. In questa zona, che ha tratti climatici che ricordano il Mediterraneo, vengono bene anche gli agrumi. I vini tipici della riviera, sia bresciana sia veronese, sono i rosati da uve groppello o corvina in prevalenza. È la zona dei chiaretti italiani, con alcuni dei vini rosati più grandi della penisola, in stile provenzale e con una certa vocazione all'affinamento. © Costaripa

Altitudine, latitudine e orientamento del vigneto

Tra le latitudini 50° e 30° nord e 30° e 40° sud, si concentra la maggior parte dei vigneti del mondo; al di là, la vite ha molte difficoltà a prosperare. Ogni latitudine porta con sé temperature e precipitazioni specifiche, il che significa che, per esempio, i vini del nord e del sud dello stesso paese hanno caratteri nettamente diversi. Le temperature più alte portano a vini con una maggiore gradazione alcolica, mentre nelle zone più fresche con precipitazioni più pronunciate le uve tendono ad essere meno concentrate e, quindi, i vini sono più sottili. Questo è un aspetto che determina in modo decisivo il legame tra vitigno e terroir. Un'uva precoce come il primitivo ben si adatta a un clima riarso come quello salentino. Un'uva molto tardiva come il raboso, al contrario, è ideale tra i freddi umidi della piana del Veneto.

Le suggestive terre rosse salentine, dove il primitivo convive con ulivi secolari. Le piane salentine comprendono suoli ricchi di minerali, che d'estate sono sferzati dal vento e dal sole. Si tratta quindi di un comprensorio climaticamente estremo, dove prosperano vitigni tipici come il primitivo, che non a caso è di maturazione precoce e si presta molto bene alla surmaturazione in pianta. Un esempio di perfetta osmosi tra vitigno e terroir. © Donato Angiuli

Qualcosa di simile accade con l'altitudine. Con l'altitudine, diminuiscono le temperature e aumentano le escursioni termiche giornaliere, quindi la buccia dell'uva diventa più spessa e  concentra più colore e aromi, cosa che è dimostrata da vini come Las Hormigas Malbec Gualtallary, un eccellente Malbec argentino le cui uve sono coltivate ad un'altitudine di 1300 metri. In Italia, in linea di massima, si fa vino dalla pianura costiera della Maremma fino ai circa 1200 metri di Morgex in Valle d'Aosta. Attenzione: "sud" non vuol dire vini caldi, corposi e alcolici, perché in Campania tanto il fiano quanto l'aglianico vengono allevati anche sopra i 500-700 metri di altitudine, dove d'inverno nevica.

Imponenti ceppi di aglianico a piede franco, in valle del Calore, DOCG Taurasi. L'areale del Taurasi, il più grande rosso irpino, è di origine vulcanica, con un sottosuolo nero. Le altitudini raggiungono i 700 metri e sono, si può dire, estreme per la realizzazione di un grande rosso. Questo sistema ancestrale di allevamento è abbastanza diffuso in zona, e regala frutti molto concentrati e di grande raffinatezza, per un aglianico austero, di classe e di sicura longevità. © Perillo

L'esposizione dei vigneti è di vitale importanza per fornire più o meno sole alle piante, un fatto che ha un'influenza decisiva sulla maturazione e il profilo aromatico e gustativo del vino. Nell'emisfero settentrionale, un vigneto esposto a sud riceve la maggior quantità di luce solare, mentre nell'emisfero meridionale la situazione è opposta, con il vigneto esposto a sud che riceve minor quantità di luce solare.

Esporre il vigneto a nord non è sempre sconsigliato, ma ovviamente dipende dal clima generale del comprensorio in cui coltivo. In montagna, ad esempio in Valtellina, tutti i vigneti sono rigorosamente esposti a sud. Nelle Langhe, su suoli collinari, si espongono a meridione i vigneti delle uve migliori, ad esempio quelle destinate al Barolo. Sull'Etna, invece, si fanno ottimi vini anche dai vigneti esposti a nord, soprattutto grandi rossi, che risultano particolarmente verticali, minerali e longevi (e provengono talvolta da altitudini elevatissime).

Gli spettacolari vigneti terrazzati del mitico cru Rocce Rosse in Sassella, in Valtellina. I suoli sono di medio impasto prevalentemente sabbioso ma con formazioni rocciose compatte, ideali per realizzare, da uve nebbiolo, vini rossi di straordinaria eleganza e freschezza. Complice ovviamente anche l'altitudine, che esalta la freschezza. I terrazzamenti valtellinesi risalgono persino al Cinquecento. © Ar.Pe.Pe.

Il vitigno

La varietà è il terzo fattore dell'equazione. Ogni uva è unica: alcune danno più frutto, altre più freschezza o corpo, e lo fanno sempre in modo diverso a seconda di dove e come vengono coltivate.

Attenzione, però, a far rientrare automaticamente il vitigno nel concetto di terroir. Lo storico "conflitto" tra sostenitori del terroir e sostenitori del varietalism non è mai stato risolto. Secondo i primi, che sono soprattutto di scuola francese, suoli, climi e know-how umano hanno un peso determinante nel farsi di un vino: contano insomma il microclima e la microparcella più che il vitigno, destinato a esprimersi in modo radicalmente differente a seconda del contesto. Per i secondi, molti dei quali di scuola americana, il vitigno determina invece le caratteristiche essenziali del vino.

Il galestro, scisto di origine argillosa tipico dei suoli del Chianti Classico. Insieme all'alberese, pietra di natura calcarea, rappresenta la matrice tipica del terroir della Toscana vinicola classica. Conferisce al sangiovese grande mineralità e sapidità e ne esalta la naturale acidità, soprattutto nei comuni migliori, come Radda, dove le altitudini si fanno consistenti. © Castello di Monsanto

Secondo alcuni, molto semplicemente, il terroir si esprime al massimo quando nel calice non è possibile distinguere la natura genetica del vitigno, che quindi rivela la sua secondaria importanza a livello sensoriale. È il caso dei grandi bianchi di Sancerre e Pouilly-Fumé: espressioni di un terroir che "fa dimenticare" il vitigno, che è tuttavia un semiaromatico come il sauvignon blanc.

In Italia, che è un paese dalla fortissima varietà climatica, di suoli e di storie legate al vino, il concetto di terroir ha trovato moltissimi sostenitori. In linea di principio, questa scuola di pensiero non esclude il vitigno dal concetto di terroir, ma lo inserisce in un sistema di cui è parte, ma non protagonista assoluto.

Ad Aversa, in Campania, si trovano antiche viti di uva asprinio "maritate" agli alberi. Si tratta di un antichissimo sistema di allevamento della vite, che viene lasciata avvolgersi naturalmente agli alberi, come fosse selvatica. La vendemmia viene svolta con l'ausilio di caratteristiche scale. I grappoli maturano poco, perché sorgono a grande distanza dalle radici. Ne deriva un vino acidulo, ottimo in abbinamento alla mozzarella di bufala, e particolarmente vocato alla spumantizzazione. © I Borboni

Certamente, sono riconoscibili molte caratteristiche sensoriali tipiche di alcune uve (come le note di idrocarburo nel riesling o la tannicità del sagrantino), ma queste non possono mai del tutto essere scisse dal contesto in cui la varietà è coltivata e dalle tecniche con cui è vinificata. Basti pensare alle zone in cui è possibile allevare le viti a piede franco, cioè senza il portainnesto di origine americana: si tratta delle zone, spesso vulcaniche o di alta montagna, in cui la fillossera non può arrivare. E sono zone di cui l'Italia abbonda.

A proposito, è indubbio ad esempio che aromi e sapori del vino sono figli anche delle tecniche colturali. Oggi vanno per la maggiore i sistemi di allevamento a spalliera come il guyot e il cordone speronato: le viti appaiono tutte ben ordinate in filari equamente distanziati. Questi sistemi permettono di ottimizzare l'esposizione delle piante ai raggi del sole. Ma anche di aumentare la densità d'impianto, che è un fattore che sollecita le radici delle viti e, quindi, migliora la qualità dei grappoli.

La vendemmia sotto una pergola veronese: i grappoli pendono ad altezza d'uomo. Questo sistema di allevamento è tipico anche di altre zone d'Italia, come l'Abruzzo. È ottimo soprattutto per vigneti relativamente pianeggianti e per vitigni che rendono molto. Se ben potata, la pergola permette di proteggere i grappoli dal sole eccessivo. Da impianti a pergola si producono alcuni eccellenti Amarone, splendidi Soave e tra i migliori Montepulciano d'Abruzzo. © Cantina Valpolicella Negrar

Eppure, in Italia si usano ancora moltissimo antiche tecniche di allevamento, come l'alberello a Pantelleria, la vite maritata agli alberi in Campania, il capanno sul Vulture, la pergola in quasi tutto il Veneto, colonne e topie in Valle d'Aosta così via. Tutti questi sistemi tradizionali servono per esaltare alcune caratteristiche del terroir o del vitigno, oppure per riparare foglie e piante da situazioni climatiche estreme. Anche se queste antiche tecniche cozzano apparentemente con tutti i principi di quelle moderne, servono eccome: l'alberello di Pantelleria protegge i grappoli dai venti estremi dell'isola, mentre la colonnata in Valle d'Aosta trattiene il calore del sole e dà tepore ai filari anche durante le rigide notti di montagna.

Alberelli di zibibbo a Pantelleria, su suoli vulcanici, allevati in conche che li proteggono dal vento. La coltivazione dell'alberello pantesco è Patrimonio dell'Umanità UNESCO. Spesso si tratta di antiche viti a piede franco, e la vicinanza dei grappoli al suolo ne favorisce la ricchezza di sostanze anche aromatiche. Intorno ai caratteristici dammusi, il moscato d'Alessandria regala il nobile Passito di Pantelleria, un vino dolce fruttato, sapido e minerale che riceve dai suoli vulcanici e dai venti marini note iodate e di frutta secca. © Donnafugata

L'uomo

E quindi, c'è l'uomo. La qualità di ogni vino dipende in larga misura dalla sua abilità nell'interpretare il triangolo suolo-clima-varietà. È l'uomo che decide come potare, quando raccogliere o a quale temperatura far fermentare il mosto, tutti fattori cruciali per capire il profilo di ogni vino.

I grandi rossi del Piave derivano da un suolo alluvionale e da un clima umido e continentale di pianura. Il sistema di allevamento tradizionale è la bellussera, ma si usano ormai moltissimo le moderne spalliere. In questo clima a suo modo estremo si sono adattati vitigni molto tardivi e ricchissimi di acidità naturale come il raboso e il friularo. Vendemmiate anche durante le prime gelate di novembre, queste uve danno rossi naturalmente potenti e rustici, ma conservano grande acidità nonostante l'imponente struttura. © Cecchetto

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